L’ulivo ha una storia secolare, esiste ormai da millenni e caratterizza l’area italiana soprattutto quella centro-meridionale, è solito infatti incontrare enormi distese di terreno che ospitano soltanto ulivi conferendo a quei luoghi un’aria sana e genuina.
Questo albero appartiene alle Dicotiledonee che fa parte della famiglia delle oleacee.
Storicamente le prime zone geografiche dove gli olivi trovavano terreno fertile per crescere erano quelle dell’attuale Armenia e dintorni, in poco tempo però si diffusero anche in altre aree quasi tutte attigue al bacino del mar Mediterraneo. La ragione è semplice: gli ulivi hanno bisogno di clima mite, poca umidità (se non nella stagione della primavera) e terreni calcarei, in taluni casi vanno bene anche quelli argillosi e sabbiosi purché siano ben drenati nel primo caso e idratati a sufficienza nel secondo.
Il ciclo biologico dell’ulivo trova la sua stagione latente – ovvero di riposo, un corrispettivo del letargo animale – in autunno, ed è qui che bisogna prestare molta attenzione e cura perché l’albero può resistere fino ad una temperatura di circa -3 gradi, andando oltre l’acqua contenuta all’interno si gelerà arrecando dei danni spesso irreversibili alla pianta. Ecco spiegata la diffusione nell’Italia meridionale dove è molto raro che in inverno la temperatura scenda sotto lo zero, specie nelle aree pianeggianti.
Ma come mai esistono ulivi secolari che hanno oltre trecento anni?
L’ulivo è formato da un tronco, che sarebbe il fusto, dal quale poi partono i rami che ospiteranno frutti e fiori e un altro elemento che si chiama ceppaia, è posizionato alla base del tronco, quasi come fosse un rinforzo ma in realtà è come se costituisse un secondo tronco (con fisionomia differente) che serve a sostenere il primo. In caso di danneggiamento dell’ulivo interviene la ceppaia che grazie ad una sua autonomia nella fioritura e alla presenza di quelle che si chiamano gemme dormienti, organismi capaci di germogliare qualora necessario, provvede a rigenerare l’albero intero. Questo significa che la longevità dell’ulivo è una sua caratteristica strutturale.
E come si riproducono gli ulivi?
Come molte altre piante questo avviene attraverso l’impollinazione. I fiori dell’ulivo si chiamano mignole e hanno una corolla con sfumature tra il bianco e il giallo, sono fiori ermafroditi, dotati quindi di organi sessuali sia maschili che femminili, ma il trasporto del polline è affidato soltanto al vento e non agli insetti; ecco perché il fiore è piccolo e poco vistoso, non ha necessità di essere avvistato e riconosciuto dall’insetto.
Gli ulivi si dividono quindi in autofertili, autosterili e parzialmente autofertili. I primi possono essere fecondati dal proprio polline e dal polline di un fiore proveniente dalla medesima varietà di albero (di questa categoria fa parte l’Ascolana, che poi dà il nome alla celebre oliva ascolana). Quelli autosterili invece non vengono fecondati né dal proprio polline né da specie della stessa varietà (la varietà Leccino ne è un esempio). I parzialmente autofertili sono capaci di produrre anche senza impollinazione incrociata, ma la produzione risulta spesso scarsa, è consuetudine quindi piantare un ulivo impollinatore per ogni venti ulivi circa.
Quante varietà di ulivi ci sono quindi?
Gli ulivi si dividono in tre vaste tipologie (che poi hanno una serie numerosa di sottocategorie), che sono quelli da mensa, quelli da olio e quelli a duplice attitudine, a seconda che le olive prodotte siano adatte a ricavarne dell’olio o soltanto ad esse mangiate.
Quelle da olio e a duplice attitudine, a loro volta si dividono in:
Agogio: grazie a frutti neri e grossi è in grado di produrre un olio di alta qualità, ma è coltivata solo in Umbria, non è largamente diffusa perché ha una produttività abbastanza bassa.
Biancolilla: Con frutti medi dalle sfumature gialle e rosate ha una produttività alta, ma è soggetta al danneggiamento da rogne, coltivata soprattutto in alcune zone della Sicilia.
Bosana: fortemente resistente al freddo e ai parassiti, produce dei frutti piccoli ma che hanno ottima resa in olio, coltivata per lo più in Sardegna.
Canino: varietà del Lazio abbastanza scarsa sia in resa che in produttività, però resiste molto bene ai parassiti.
Carboncella: tipica dell’Italia centrale, ha una buona produzione con frutti tra il nero e il blu che danno vita ad un olio di alta qualità.
Casaliva: grazie a frutti molto grandi e ad una produzione cospicua si è diffusa molto nelle aree del nord, soprattutto in Lombardia e Veneto.
Frantoio: produce un olio di qualità davvero elevata, con dei frutti grandi e dai colori rosati, è tipica della zona del Garda.
Leccino: tipica dell’Italia centrale, ha una produttività alta, ma fragile perché poco resistente agli attacchi dei parassiti.
Moraiolo: tipicamente umbra e Toscana ha frutti piccoli ma con resa abbastanza alta.
Ogliarola Barese: coltivata nella zona della Puglia e della Campania ha ottima produttività e resistenza al freddo.
Olivastra saggianese: tipica della Toscana ha un rapporto tra produttività e resa tra i più vantaggiosi
Pendolino: originaria umbra, produce frutti abbastanza piccoli di colore verde chiaro che però hanno una resa media.
Taggiasca: originaria della zona ligure, nonostante sia soggetta a rogna compensa con un alta produttività.
Carolea: varietà a duplice attitudine è tipica dell’area calabra e produce frutti grandi, di circa 4 grammi, ha ottima produttività e resa media.
Coratina: pugliese e molisana, ha frutti molto grandi e grande resistenza ai parassiti, teme però il freddo rigido.
Moresca: siciliana, con frutti neri e molto grandi dalle forme asimmetriche.
Evidentemente ogni tipologia descritta influenzerà in maniera determinante le peculiarità dell’olio ricavato dalle olive, conferendo loro un dna aspro, dolce, amaro, che si ritroveranno nel gusto e nel retrogusto nella fase di degustazione. Per produrre un olio extra vergine di oliva la coltivazione è fondamentale, e la perfetta conoscenza dell’evoluzione di queste piante costituisce senza dubbio la base obbligatoria dalla quale partire.
Le varietà autofertili spesso hanno un albero specifico capaci di impollinarle, che quindi si pianterà nelle vicinanze per garantire una alta produzione e la rigenerazione delle piante.
Oltre a queste varietà olivicole ci sono quelle da mensa, ad esempio come la nota oliva ascolana, che seguono dinamiche e cicli simili e che producono olive gustose e polpose con le quali sperimentare e arricchire piatti culinari che sono l’emblema delle tradizioni del nostro Paese.